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sabato 16 maggio 2015

Recensione di “Il racconto dei racconti” (The tale of tales) di Matteo Garrone, sbarca al festival di Cannes 2015



Quest’anno Garrone si è cimentato in un’impresa mastodontica e rischiosa. Regalare al mondo un’opera prima e totalmente nuova, con cast internazionale d’eccezione (allo stesso modo di Sorrentino e Moretti, anche loro in corsa per la Palma d’Oro). Ma il più grande rischio è stato quello di aver fatto un fantasy, che non è un fantasy, per l’esattezza. Per questo funziona. Funziona la fotografia, il set, i costumi, la scenografia superba e accesa da pennellate di colore degne di Dante Gabriele Rossetti (come la scena che evoca i preraffaelliti, in cui una fanciulla dai lunghi capelli rossi si mostra nuda al pubblico, fasciata da un sensuale drappo scarlatto). Funziona la colonna sonora del premio Oscar Alexandre Desplat, funzionano gli attori hollywoodiani (Salma Hayek, John C. Reilly, Vincent Cassel, Toby Jones) sradicati dal contesto del box office americano e catapultati in un maniero medievale in provincia di Firenze, circondato da strani incantesimi, da draghi marini ed insoddisfatte regine. È un mondo liberamente tratto dalla raccolta di novelle del ‘600 dell’autore napoletano semisconosciuto Giambattista Basile, “Lo cunto de li cunti”. Garrone ha scelto di omaggiare questo importante precursore della letteratura fiabesca, selezionando tre racconti che hanno come protagoniste le donne, i loro conflitti e desideri.
Nel primo racconto c’è il bisogno ancestrale di essere madre, che porterà una regina a mangiare il cuore di una bestia marina per restare gravida, infine il suo amore morboso e incontrollato per un figlio sfuggente; c’è la brama di abbeverarsi ancora al nettare effimero della giovinezza, che acceca due vecchie sorelle, entrambe ansiose di esaudire i desideri peccaminosi di un perverso re; si racconta infine la ribellione di una fanciulla data in sposa ad un orco per colpa del suo ottuso padre, ossessionato dalla viscerale attrazione per una grassa pulce che si nutre del suo sangue.




Il film intinge il pennello nell’horror, – ma lo fa in modo elegante -, nel raccapriccio (ricordando spesso le fameliche gole e il grottesco dei quadri di Goya), nel gotico e nell’avventura, ma mai nella banalità. La differenza sostanziale che però ha con i fantasy è che questi ti fanno evadere del tutto dalla realtà conosciuta, mentre “Il racconto dei racconti” ti ci fa immergere, è pregno di verità e grida sofferenza, raccontandola magistralmente attraverso la magia illusoria delle fiabe. Ogni personaggio si ciba di un desiderio profondo, che scava nella complessità della psiche umana, che rispecchia la solitudine, la violenza, i capricci della modernità.
Un parallelo di due epoche storiche, il medioevo (i secoli bui) e la nostra, due crisi che deteriorano poco a poco la moralità di molti, ma mai l’integrità di pochi. Ne è esempio la memorabile scena (mai vista nelle fiabe) di una principessa emancipata, che si ribella ad un matrimonio terribile, facendosi aiutare da una ludica famiglia di circensi (tra i quali l’italiana Alba Rorhwacher), presentando il conto al padre inorridito e disperato. La testa recisa del brutale orco-marito. Un’eroina che si fa valere, una moderna Salomè con la testa del Battista, o una caravaggesca Giuditta che sgozza Oloferne. Sono tante e complesse le sensazioni evocate da un film che si mostra allo spettatore per quello che è, che racconta delle storie importanti. Un ibrido insomma, che non è affatto per bambini, nè paragonabile all’acclamato “Games of Thrones” (se non per le ambientazioni fantasy), ma che si conferma a pieni voti come un film d’autore e simbolico, barocco ed estetico, giocoso ma struggente. Fa perno sull’immensità di fonti di un patrimonio culturale che non conosce rivali. Questo cinema italiano fa sperare, compete a testa alta con il resto del mondo e comincia a farsi degno dei grandi classici.





Dafne Berdini

giovedì 14 maggio 2015

Cannes 2015: pronostici e film più attesi sulla Croisette




Anche quest’anno, come da copione, il festival cinematografico più applaudito di sempre apre il suo rosso sipario su una notevole varietà di pellicole in concorso. Dal 13 al 24 maggio la città francese ospiterà star di alto calibro, a cominciare dai direttori artistici, i fratelli Coen, in due per la prima volta nella storia del festival. Tra gli altri, anche gli attori Sienna Miller e Jake Gyllenhaal.
La prima e più importante notizia per noi abitanti del Bel Paese sarà la speciale ed unica partecipazione dei tre film di Moretti, Sorrentino e Garrone, rispettivamente “Mia madre”, “Youth – La giovinezza”, “Il racconto dei racconti”. I tre registi, già in precedenza abbondantemente premiati a Cannes e non, concorrono per la Palma d’Oro, e i pronostici sono perlopiù positivi. “Mia madre”, un dramma con protagonista Margherita Buy e con la speciale partecipazione di John Turturro, racconta di una regista divisa tra successo e vita privata (la malattia della madre); “Youth – La giovinezza”, ancora deve uscire al cinema, ma promette bene. Il regista premio Oscar analizza la vecchiaia da un’ottica inedita e intimista, con un cast nuovamente internazionale (da Jane Fonda a Paul Dano, a Rachel Weisz), come il precedente e già premiatissimo a Cannes “This must be the place”. Il protagonista è interpretato dal grande attore Michael Caine che, insieme ad un amico, si trova a riflettere sul breve futuro che la sua vecchiaia potrà concedergli , e sulla vita ancora da vivere dei figli, tutti ospiti di un lussuoso hotel nelle Alpi svizzere. Mentre “Il racconto dei racconti”, forse il più chiacchierato, si preannuncia già come un film che dividerà il pubblico.




Un fantasy sui generis, nelle sale dal 14 maggio, il quale attinge le sue rocambolesche avventure dalla fonte medievale Lu cuntu de li cunti di Gianbattista Basile, una raccolta di 50 novelle. Fiabe di derivazione secentesca, ma che Garrone in qualche modo riesce a trasporre nell’immaginario attuale, aggravato dalla crisi come i secoli bui del Medioevo.
Ma il festival quest’anno è ricco di sorprese, oltre ai numerosi film d’autore, ci sono anche quelli dalla trama azzardata e non convenzionale, è il caso del fantascientifico “The lobster” (L’aragosta), film in concorso, del regista greco Yorgos Lanthimos, con protagonisti nientemeno che Colin Farrell, Rachel Weisz e Leà Seydoux. Film ambientato in un futuro ipotetico nel quale, se non in grado di trovarsi un compagno di vita, l’uomo è destinato a fuggire in un bosco e a trasformarsi in animale. Si parla di boschi anche in “The sea of trees” (Il mare di alberi) sempre in concorso, di Gus Van Sant, dove un americano, Matthew Mc Gonaghey, si reca in una foresta giapponese detta dei suicidi per togliersi la vita, ma il suo incontro con un uomo misterioso cambierà le carte in tavola. Nel cast anche Naomi Watts.
Un’altra pellicola in concorso molto chiacchierata è “Carol” di Todd Haynes, forse per il fatto che è una storia d’amore tra due donne (le splendide Rooney Mara e Cate Blanchett) nell’America puritana degli anni cinquanta. C’è poi la rivisitazione cinematografica del Macbeth di Shakespeare, che pone i riflettori sulla coppia Marion Cotillard e Michael Fassbender. Fuori concorso c’è poi l’ennesima commedia di Woody Allen “Irrational man”, con Joaquin Phoenix ed Emma Stone, che non sembra essere né più né meno dei precedenti film. 

Anche quest’anno insomma il sessantottesimo Festival di Cannes promette meraviglie. Un’annata al femminile se si pensa alla presenza di innumerevoli donne tra registe e attrici, incoronate dalla bellezza eterea del volto di Ingrid Bergman, intramontabile stella, sulla locandina ufficiale del festival, (posto che lo scorso anno era spettato al nostro Mastroianni).
Oltre a seguire le notizie da Cannes passo per passo, a noi comuni mortali non resta che andare al cinema e sperare che alcune di queste eccezionali pellicole ci colpiscano nel profondo.



Dafne Berdini
 

Cake, primo ruolo drammatico per Jennifer Aniston

Nomination al Golden Globe per Jennifer Aniston come miglior attrice in un film drammatico.


Cake è un dramma insolito e nel contempo audace. È stato accolto con entusiasmo al prestigioso Toronto Film Festival. Jennifer Aniston nel ruolo di protagonista si è rivelata una scelta vincente. Nella sua prima performance drammatica la carismatica attrice si dimostra all’altezza e ben oltre le aspettative, finora sempre conosciuta dal pubblico per i suoi esilaranti ruoli in commedie brillanti.
In Cake la Aniston impersona un dolore. Un dolore cronico che le invade anima e corpo. Lo spettatore fin dai primi minuti avverte un senso profondo di disagio, quasi una repulsione per un personaggio così cinico e rabbioso. Viene catapultato nel mezzo di un'esistenza straziata, quella di Claire Bennett, di un corpo dilaniato da un terribile incidente a cui è sopravvissuta, ma che le ha causato un lutto terribile.


Ben presto però si inizia a compatire e a conoscere questa donna, le domande poste trovano man mano risposta con il procedere del film. Che è un percorso di crescita, sospeso tra uno sforzo continuo da parte della protagonista di andare avanti e la tentatrice voglia di lasciarsi andare per sempre. Claire è sola, l’unica persona che si occupa di lei è la colf (Adriana Barraza, già fattasi notare in Babel, 2006). Claire viene cacciata dal suo gruppo di sostegno, dopo un'inopportuna reazione allo scioccante suicidio di una componente del gruppo, Nina (Anna Kendrick). Ma il suo iniziale disinteresse per l’accaduto si trasformerà presto in un morboso attaccamento alla vita che questa sconosciuta ha così deliberatamente abbandonato. Il dolore di Claire si intreccerà inevitabilmente con quello del marito di Nina, Roy (Sam Wortinghton), e del loro figlio. Ella troverà una via d'uscita al dolore cronico, liberandosi dai fantasmi del suo passato, affrontandoli. E il perdono di se stessa, la rassegnazione all'inspiegabile crudeltà della vita, la forza di ricominciare daccapo, di disintossicarsi, sono i grandi messaggi che questo piccolo film riesce a trasmettere.