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lunedì 13 gennaio 2014

"In direzione ostinata e contraria"



"L’11 gennaio di quindici anni fa se ne andava Fabrizio De André, a scantonare per carruggi sconosciuti. Era più che un cantautore, eccellente voce narrante, musicista, ricercatore di suoni, strumenti e storie, traduttore (Dylan, Cohen, Brassens), «il più grande poeta che abbiamo avuto» secondo Fernanda Pivano. Personalità complessa, strattonata da demoni e illuminata di verità, parole poche e pesate, nato fra i vincenti e cresciuto fra i vinti, colto ma ispirato dal popolo, allo stesso tempo artista di tutti e per pochi. Amico fragile che tutti citano, ma molti non capiscono. Altrimenti, questo, sarebbe un mondo diverso.
I suoi versi resistono ai colpi del tempo, attuali, ancora più presenti se nessuno riesce ad eguagliarli.
...«La sua spiritualità non è monopolio delle religioni. La sua voce è la possibilità irripetibile, per la canzone, di diventare il più alto e penetrante strumento artistico della cultura popolare. Le sue canzoni sono la scelta mai sbagliata di occuparsi dei poveracci e dei senza voce: vite perdute, ma anime salve».
Le anime salve, rese libere dalla diversità, c’erano tutte a salutarlo quel 13 gennaio a Genova, «un funerale da invidiare» disse il compagno di sempre Paolo Villaggio.
La sua poetica smascherava le ipocrisie, indagava l’amore, in fiore o appassito, era un laudate hominem che restituiva dignità a emarginati, princese, senzadio, derelitti, mercenari. L’umanità rintanata nei bassifondi ispirava De André che, come nessun altro, dai pantani della cronaca nera sapeva sollevare fiabe. "




Questi estratti di un articolo de "Il Messaggero" datato 11 Gennaio 2014 sono solo una piccola parte delle testimonianze e dei tributi che si terranno quest'oggi in ricorrenza della morte di Fabrizio de Andrè. Un uomo, come accennato sopra, "nato fra i vincenti e cresciuto fra i vinti".
Con le sue canzoni, fin dal lontano 1961, anno di inizio della sua attività, ha lasciato un'impronta indelebile nella storia della musica cantautoriale italiana. Uno dei più grandi, se non il migliore, Faber è fortemente radicato nella nostra cultura musicale, è quanto mai attuale con i suoi versi, spesso incompreso, difficilmente, sorpassabile o eguagliabile.
Ognuno di noi ha in qualche modo imparato a conoscerlo: chi, come me, grazie ai genitori, in macchina durante un viaggio, o a casa la domenica mattina insieme al profumo di caffè e ad un bel vinile dell'album Non al denaro non all'amore nè al cielo. Chi lo canticchia ogni tanto come riflesso incondizionato, chi custodisce invece ricordi in qualche canzone, fluttuando languidamente nei canali multiformi della memoria, per rievocare un amore appassito, o un'occasione perduta, durante il poetico scorrere delle note. Come dicevo sopra, Faber è stato fin da sempre un "vincente", nato da una famiglia borghese, non gli mancava niente, ma si interessava ugualmente a chi di ricchezza ne aveva ben poca. E' il protettore dei vinti; prostitute, suicidi, ubriaconi, manigoldi, malati, gente allo stremo delle forze, che annega i dolori nell'ebrezza del vino, o in una squallida camera d'albergo. Nessuno come lui sapeva trasformare la materia misera e oscura della cronaca nera, in poesia pura e semplice, materiale di altissimo livello. Basti pensare a Bocca di Rosa: c'è chi l'amore lo fa per noia/chi se lo sceglie per professione/Bocca di Rosa nè l'uno nè l'altro/lei lo faceva per passione, alla prostituta di Via del Campo dagli occhi grandi color di foglia/se di amarla ti vien la voglia/basta prenderla per la mano, o a Marinella, una povera ragazza che fu uccisa e violentata, poi gettata in un fiume; ma alle nostre orecchie questa notizia è arrivata sotto forma di fiaba, una fragile rosa trasportata via dal vento su di una stella, che conobbe un re sulle sponde di un fiume. Questa è la tua canzone Marinella/che sei volata in cielo su una stella/e come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose.

Maneggiare argomenti come questi non è cosa facile e nessuno mai come lui potrà rendere giustizia ed elevare le aspettative di questa gente che, in fondo, non aspira ad altro che ad una vita decente e si arrabatta per un tozzo di pane o nell'attesa di un amore lontano. I personaggi delle sue canzoni sono quindi esistiti e vivono ancora, resi immortali dalla forza delle parole; il chimico Trainor che aveva paura di amare e morì in un esperimento sbagliato, proprio come gli idioti che muoion d'amore/e qualcuno dirà che c'è un modo migliore; il suonatore Jones, colui che offrì la faccia al vento/la gola al vino e mai un pensiero/non al denaro, non all'amore né al cielo, che adesso dorme insieme agli altri sulla collina del cimitero di Spoon River; il blasfemo che accusa Dio di aver negato all'uomo la verità: per paura che ormai non avesse padroni/lo fermò con la morte, inventò le stagioni, e tanti altri ancora vivono e respirano in quegli accordi. 
Amato da molti, ma capito da pochi, Faber deve confrontarsi anche con le critiche, postume e non, sulla sua opera. Ma, si sa, chi maneggia argomenti come questi ed esprime chiaramente il proprio pensiero anticonformista, correrà sempre il rischio di inimicarsi moralisti ed ecclesiastici. Ma questo non era affatto un disturbo per De Andrè, che visse ogni istante della sua vita in direzione ostinata e contraria, e ringraziamo il cielo che così sia stato.
Concludo questo mio umile tributo appellandomi direttamente a te caro Faber, mio amico fragile, e fedele compagno di vita grazie alla tua arte; ti dedico questa frase della canzone Rimini:
Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati.
La vita è fatta di incontri, e di persone che entrano ed escono, ma alcuni rimangono, si fanno sentire ed amare per il loro carisma. Sono contenta di averti "conosciuto" attraverso le tue canzoni. L'impronta che hai impressa nel mondo è forte e meravigliosa, quindi grazie di esserci stato e di averci, seppur avendoci lasciato prematuramente, onorati e folgorati di amore, forza, carità e perchè no, anche un pizzico di anarchia.

 




"Vedo che salgo a rubare il sole per non aver più notti, perché non cada in reti di tramonti, l'ho chiuso nei miei occhi, e chi avrà freddo lungo il mio sguardo si dovrà scaldare."

"Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane.Ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame!"

Dafne Berdini

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