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venerdì 14 giugno 2013

Il Viaggio romano di Jep



La grande bellezza, in concorso per la Palma d'oro a Cannes, è un film che tramortisce, annulla a tratti il filo narrativo, per trasformarlo in un’immaginifica e figurata meraviglia. E disgusto.
Paolo Sorrentino infarcisce la pellicola di contraddizioni e di realismo. La bellezza eterna e indissolubile di Roma, fa da teatro ad un’autentica sfilata di brutture. Incarnate in individui grotteschi che l’attraversano, dirompenti nella loro apatica intolleranza e carichi di infondato disinteresse per qualsiasi cosa che non rientri nella vasta sfilza di divertimenti mondani ed evanescente frivolezza. La grande bellezza è un viaggio, come preannuncia l'eloquente citazione di Celine (Viaggio al termine della notte), all'inizio del film, ed è la chiave per capirlo. In questo viaggio ci accompagnerà Jep Gambardella, protagonista dissoluto e impertinente, impersonato da Toni Servillo che, dopo il premiatissimo Divo, non smette di sorprendere. Jep è un Virgilio mondano e scalmanato, nonostante i sessantacinque anni suonati, che guida l’occhio dell’osservatore a fare i conti con le multiformi facce della capitale. Un perenne ragazzino che non lascia andare il passato, la vita napoletana. Riaffiorano periodicamente nel film, accenni alla pubblicazione giovanile di un romanzo di successo, a un amore lontano e perduto, inafferrabile. Ma crogiolarsi dentro i soli appigli di vita vera, rappresenta per Jep un dolce soffrire, una languida malinconia. La perdita progressiva di speranza lo ha portato sui suoi passi, e sull’incapacità di riprendere a scrivere perché, dice lui, Roma distrae. Questa vita notturna ed eccessiva, annulla la volontà dei singoli, risucchiati dal vortice frenetico di un lusso sfrenato, da feste volgari e psichedeliche, terrazze con vista sul Colosseo, e trenini più belli di tutti, perchè non vanno da nessuna parte.
E Roma resta, immobile e monumentale, silenziosa ed eterna, sullo sfondo. Noncurante degli affanni, delle morti, della decadenza allarmante che vede delinearsi nei suoi abitanti.
La grande bellezza è insomma una visionaria ed onirica sequenza di episodi, pochi dialoghi, molti monologhi, uno sconnesso profilarsi di esseri umani. Appare accanto a Jep, per pochi minuti, anche un’Isabella Ferrari deprimente e sola, il cui lavoro è quello di essere ricca. La sua vita si contrappone invece alla semplicità di una coppia che di sera guarda la tv e poi va a letto. E Jep riesce a captare anche tra quegli umili mobili, un’autenticità di affetti, dicendo infatti – Ma come siete belli!
Per il resto tutto è privo di senso, decadente, dalla vacuità dei discorsi, alle effimere distrazioni mondane, subdole e patetiche; è un affresco pessimistico ed ironico di un’esistenza inafferrabile, fuori controllo, che risucchia, producendo una schiera di ignavi, di inetti. Un’oscura discesa infernale, paradossalmente lontana dal Paradiso-Roma. In pochi si distinguono: Romano (Carlo Verdone), timido e sognatore. Uno sconfitto. L’unico ad ammettere quanto Roma lo abbia deluso. Ramona (Sabrina Ferilli), spogliarellista travolgente, meno corrotta di tante altre anime. E Jep; giudice e osservatore disincantato, ironico e cinico, sentimentale e sensibile, forse l’unico consapevole di se stesso, che accetta con rassegnazione un’esistenza passiva ed assurda. Si gode quel che resta di questa vecchiaia dissipata e opulenta, passeggiando all’alba, o di notte, sullo sfondo di una Roma irripetibile.
 
Dice Jep in un monologo - È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore; il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura… Gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile.
La bellezza – dice Sorrentino – è la fatica di vivere; per questo il film è così lungo e pieno di personaggi e situazioni. C’è anche un continuo contrasto, tra sacro e profano, tra un cardinale ben poco spirituale e una santa che mangia solo radici, quintessenza della povertà.
C'è chi non si accorge nemmeno della bellezza di Roma, e chi, invece, come il giapponese al Gianicolo, sviene alla sola vista, stordito da troppa magnificenza.
È la fine di un'era, quella della Dolce Vita felliniana, e l'inizio di un'altra, amara, disincantata esistenza, scandita da un sonoreggiante rimbombare di ritmi, danze, paillettes e silicone.





La mia foto con Paolo Sorrentino.