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sabato 9 novembre 2013

Italia, impero del sole; Italia, signora del mondo; Italia, culla delle lettere.





Una delle decisioni più belle della vita è quella di partire. Per rinnovarsi, per non annoiarsi, per attirare verso di te il mondo con i suoi infiniti stimoli e risorse;  rendendo finalmente "ogni cosa illuminata, ogni cosa nel suo raggio in divenire" (citando Jovanotti). Basta scegliere una giornata qualsiasi, andata e ritorno in giornata (Con amici o amore – quest'ultimo è il mio caso – basta partire). E il gioco è fatto. Cosa può esserci di meglio allora, se non esplorare questa meravigliosa terra che è l'Italia? Soprattutto quando vivi a Roma e Firenze si trova a solo un'ora e mezza da te. Le cose da fare sono poche: comprare il biglietto in tempo, uscire di casa prestissimo ignorando il letto che, tentatore, mi implora di rimanere. Prendere la metro, come sempre affollata, fare il solito cambio da A a B, colazione e trovarsi in quella giungla pullulante di umanità, chiamata Stazione Termini. Aspettare pazientemente che il nostro treno compaia sullo schermo delle partenze. Finalmente, tra uno sbadiglio e l'altro, eccolo lì: binario 12. Una corsa in tutta fretta e ci sediamo. Ora Firenze è un po' più vicina. Il treno inizia a brontolare, ripenso a Roma e a quello che lascio. Lancio uno sguardo fuori dal finestrino e vedo il paesaggio indistinto correre a perdifiato insieme a noi. C'è una nebbia consistente, come se fossimo in un limbo, catapultati verso una nuova meta a tutta velocità. Il cuore batte forte, trepidante, in attesa. Siamo quasi arrivati: inizio a studiare la cartina. Allora Santa Croce, Piazza del Duomo, Ponte Vecchio... per fortuna un bravo signore ci dà qualche informazione. Eccoci finalmente. Sono elettrica. Come mi mancava questa meraviglia di città. Dalla stazione alla piazza principale sono pochi passi, è difficile riabituarsi alle brevi distanze: a Roma si impiegano ore per raggiungere un posto, a volte è logorante. Mentre qui si gira a piedi, o in bicicletta. Ogni vicoletto è una scoperta, non serve neanche la mappa. Siamo io e te alla scoperta di Firenze!


“Fiorenza mia, ben puoi esser contenta \ di questa digression che non ti tocca…” cantava Dante nel V canto del Purgatorio, quando soffriva per il destino incerto della sua amata patria. Oltre ad essere natal culla del divino poeta, Firenze è oggi una città compiuta. Non solo si respirano storia e cultura, solcando e sbirciando i vari vicoletti, ma anche serenità. Prima di tutto visitiamo il Duomo: l’imponenza e la magia di un’elegante struttura. I marmi di carrara, il soffitto della cupola di Brunelleschi. Tutti intorno a me hanno gli occhi al cielo, in silenzio. Lasciamo fare all’arte il suo dovere. C’è tanto altro da vedere; Piazza della Signoria, il palazzo ducale. All’ora di pranzo andiamo in una trattoria vicino Santa Croce. La bontà della carne toscana e del cibo italiano. Passeggiamo spensierati all’ombra di un grande passato; la statua di Dante spicca, grandiosa, di fronte alla facciata della Chiesa. Ancora qualche passo ed ecco affacciarsi l’Arno, attraversato dal ponte Vecchio. E poi su, verso San Miniato. Il panorama è indescrivibile. La città si snoda ai nostri piedi, stabile e imponente. È confortante vedere che il passare degli anni non scalfisce queste mura, forse le cambia sì, ma restano salde ed immobili nei secoli. Proprio come Roma, dove l’eco delle ere passate si fa sentire ovunque, in ogni passo, san pietrino, alito di vento…


Attraversiamo Ponte Vecchio passeggiando per i vicoli illuminati e pieni di negozi. È ormai sera e bisogna tornare. Il tempo di un saluto, bastato a riaprire una breccia nel cuore, che rimarrà sempre aperta e avida di conoscenza, bellezza, amore.

 


Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre "Andiamo", e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole. 
C. Baudelaire
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/viaggi-e-vacanze/frase-113344>

giovedì 7 novembre 2013

La vita non è un film




Una vicenda sconvolgente ha travolto e sconvolto l’intera città di Roma in questi ultimi giorni. Si tratta delle cosiddette Baby squillo. Il caso della prostituzione minorile è ormai purtroppo più che reale; sono il 20% su settantamila in Italia. Le lolitine, così le chiamano i loro clienti, sono adolescenti poco più che bambine, che mercificano il loro corpo per possedere cose. Cose costose, cose firmate, cose di lusso. Protagonista è il quartiere benestante dei Parioli. Alcune ragazzine hanno anche famiglie solide alle spalle. Altre invece, che faticano a tirare avanti. Questo fenomeno è agghiacciante e inconcepibile. È una giovinezza sfiorita precocemente, ragazze perdute e allo sbando. Vite rovinate. Per cosa poi? Per comprare vestiti e borse alla moda, per curare la propria facciata e sembrare splendide, anche se dentro si muore.
Le nuove generazioni sono sempre più in pericolo, sull’orlo di un abisso. Spinte dalla società e dai mass media ad essere perfette, con famiglie che poco insegnano e tanto comprano. I veri valori si perdono, e subentrano i demoni, incubi che diventano reali; quanti di loro sono morti, si sono suicidati, o minacciati tramite i social network? Quanti ricattati o sbeffeggiati?







La letteratura ed il cinema in questo caso insegnano: basti ricordare la famosa Lolita di Nabokov. “Poco più che bambina, irriverente e sfacciata, treccine e piedi sporchi. La classica adolescente di cui la madre se ne frega, forse gelosa della sua fresca età. Una figlia a sua insaputa, già capace di donarsi a un uomo: il professor Humbert, invaghito di Lolita e amante delle ninfette, come le chiama lui. La vita di Lolita da qui in poi, non sarà una favola, ma un inferno. Contesa tra vari e luridi uomini, incapace di capire cosa sia meglio per lei. Morirà di parto a diciassette anni.” Questa è una finzione. La cosa triste purtroppo, è che ormai per molte bambine, invece, è realtà. Non credono più alle favole, o al principe azzurro. Non giocano con le bambole, non si stupiscono più di niente. Non sognano più. Interrompono, quasi senza accorgersene, il periodo più bello della loro vita, che non tornerà. Ingiustamente derubate della loro fresca ingenuità da vili mostri senza cuore.
Nel cinema invece abbiamo come esempio il recente film Bling Ring di Sofia Coppola, che mette in mostra la vacuità e l’insipido sapore delle esistenze di alcuni ragazzi  di Los Angeles. Possedere cose per coprire il grande vuoto interiore. Perché è quella la parte più difficile, che ormai ci si è dimenticati di fare: amare se stessi. Rispettarsi senza sperperare inutilmente una vita così preziosa e così breve. Perché rovinarla? È terribile questa consapevolezza. Ci lascia impotenti di fronte alla degenerazione progressiva della società.
Un iphone al posto di un libro; una chat al posto di una chiacchierata; una foto al posto di un attimo vissuto; un cliente al posto di un amore.
E' questa un'evoluzione o una regressione?
Come ci siamo arrivati? Occorre premere il tasto stop e resettare. Dimenticare. Ricominciare daccapo. Ad educare i bambini come è giusto che siano educati. Seguirli costantemente ed evitare così di allontanarli per sempre dal loro cammino.


Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare. Seneca

martedì 5 novembre 2013

La vita di Adele



La vita di Adele (La vie d'Adèle) è il film di Kechiche vincitore della Palma d'oro a Cannes 2013. La giuria ha premiato all'unanimità questa bellissima storia d'amore saffico. Tante le critiche e lo stupore di fronte a temi scottanti e a lunghe scene d'amore incensurate. Questo film scandaloso e rivoluzionario vede protagonista Adele, (Adele Exarchopolous: eccezionale attrice nella sua prima vera interpretazione) una sedicenne pacata ed inconsapevolmente sensuale, alla ricerca della propria sessualità. Adele vive nel paesino francese di Lille, luogo che focalizza la vicenda dentro un'atmosfera raccolta ed ovattata, fuori dal tempo e dallo spazio. La macchina da presa di Kechiche si concentra solo sui particolari; sull'essenziale e il primitivo, costringendo l'occhio a non staccarsi mai dallo schermo per tutte le tre lunghe ore restanti. Il dettaglio ricorrente delle labbra carnose e semiaperte di Adele, la caratterizzano come un'adolescente inconsapevole ma vorace. Carnale. Anche nel modo famelico di addentare il cibo. 


Adele troverà risposta al suo disagio esistenziale e ai puntuali interrogativi quando vedrà per strada una ragazza dai capelli blu, un po' maschiaccio. È il classico colpo di fulmine, che trascinerà nella sua scia di desiderio e passione travolgente le due ragazze. Emma (Léa Seydoux) è più grande e risoluta. Studentessa di Belle Arti, ama dipingere - la sua musa diventerà Adele, il cui corpo nudo verrà ritratto numerose volte - ed è molto sicura di sé. Sicura della sua omosessualità ed estroversa, si contrappone e si completa nella timida e silenziosa figura di Adele; più fragile ma passionale. Prorompente fino all'esagerazione. L'alchimia tra le due le porterà a consumare il loro rapporto con energiche e potenti scene di amore lesbico. Ma a lungo andare, dopo la convivenza, le differenze di classe e di ambizioni condurranno inevitabilmente ad un duro confronto, dal quale nessuna delle due uscirà vincitrice.
Perchè la fine di un amore spezza il cuore. Anche allo spettatore. Forse per l'empatia e la tenerezza che la fragile Adele, con le sue paure ed insicurezze, suscita in noi, o forse perché ci si identifica nelle sue lacrime e nel dolore del primo amore, che non lascia scampo. Rendendoci tutti un po' vulnerabili. 
Per Adele la vita vera comincia adesso; quando dovrà raccogliere i cocci di una storia finita male, ma ancora ardente d'amore e di ricordi. Ritrovandosi sulle spalle il macigno di una solitudine palpabile e disarmante. Niente e nessuno è più capace di appagarla; si consuma nella speranza di poter toccare Emma un'ultima volta. Arranca a tentoni e a fatica per non venire risucchiata dalla mancanza e insieme dalla presenza estenuante di un desiderio carnale da soddisfare. Perché Adele é tutto o niente: ama enormemente, o soffre infinitamente. Senza mezze misure.


Kechiche realizza un capolavoro di realismo ed introspezione; intenso, fervido e carnale - ispirato alla grafic novel dal titolo Blue is the warmest colour - armato di tre o anche quattro macchine da presa, come se volesse farci entrare nello schermo, percepire ogni angolatura ed assaporare questo schizzo di vita vera, ma purtroppo non esente da pregiudizi inconcepibili.
Il regista non fa altro che raccontarci una storia d'amore intensa e meravigliosa tra due ragazze (forse il primo film capace di rendere giustizia a questo tema), con una sincerità e delicatezza assolutamente uniche, con due attrici incantevoli ed efficaci nelle loro fresche interpretazioni.
Citando Spielberg: farò vedere questo film alle mie figlie, per far capire loro che l'amore non ha confini.






di Dafne Berdini