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domenica 19 gennaio 2014

I colori dell'anima: Modigliani e Jeanne, un amore tragico.

"Sapete cos'è l'amore? Quello vero?
Avete mai amato così profondamente da condannare voi stessi all'inferno per l'eternità?
Io l'ho fatto."

Jeanne Hébuterne











Sono colpita.
Avete presente quando vi imbattete improvvisamente in una nuova scoperta, in un nuovo volto, o esperienza di vita? Ecco cosa mi è capitato quel mese di Dicembre del 2013, quando ho deciso, quasi senza pensarci, di comprare il biglietto per la mostra di Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti, a Roma.

Fin dai primi scalini color prugna, ci si immerge in un’altra epoca, l'atmosfera è palpabile, quella di passaggio tra l’800 e il 900, fervente di artistica ed endemica vitalità parigina. Come se fossimo una sorta di Jil (il sognatore protagonista di Midnight in Paris di Woody Allen) ci avventuriamo nella riproduzione del Cafè du Dome, punto di ritrovo degli scapestrati pittori e scrittori dell’epoca, nel quartiere di Montparnasse. Con una luce soffusa e musica sognante di sottofondo, proseguiamo il nostro giro ideale per le vie parigine, incontrando nientemeno che quadri di Utrillo, grande amico di Modì, e purtroppo molto più ubriaco di lui (il che è tutto dire!). Poi c’è Kisling, Susanne Valadon, poi Soutine, il russo Soutine e la sua famosa “pazza”! Un mendicante che arrivò a Parigi letteralmente a piedi dalla lontana e fredda città natale, divenne in breve tempo anche più famoso di Modì, e preso in simpatia dal barbuto mercante d’arte Zborowsky

Ma eccoci catapultati in Italia, a Livorno. È qui che nacque il nostro eroe, un ebreo dalle grandi doti, che ben presto raggiunse anche lui la capitale dell’arte. Il talento di Amedeo Modigliani restò immutato negli anni, ma i soldi e la fama tardavano ad arrivare, come molti suoi amici si trovava a vivere in condizioni misere e disagiate, in bettole o cantine fatiscenti, senza mai abbandonare la fedele bottiglia. Conducendo una vita da bohémien, sregolata ed eccentrica, erano accaniti contro la sprezzante sorte. Questi artisti maledetti catapultavano il loro intimo e turbolento sentire attraverso il pennello, direttamente sulla tela. La disperazione traspariva da quei quadri, rendendoli capolavori.
Non si è artisti se non si soffre, se non si vive in un mondo interiore diverso, acerbo, isterico e lontano dalla languida monotonia di certi modi di essere.
Io la percepivo quell’inquietudine esalare dai quadri, come se prendessero vita, e avvertissi proprio accanto a me Modì sussurrare dolcemente a Jeanne: anima mia… Ah, Jeanne! Jeanne Hébuterne. Proprio lei. Il soggetto principale di quasi ogni tela di Modì, suo grande amore, musa, ossessione. Una candida, eterea diciannovenne dalla lunga e splendente chioma castana, che un giorno, quasi per caso, rapì il cuore del famigerato dongiovanni Amedeo, senza più lasciarlo andare. I due lottarono per questo amore, fino a consumare anima e corpo, fino ad esalare l’ultimo respiro quasi all'unisono.
Amedeo e Jeanne ritratti in foto dell'epoca
Mi siedo davanti alla splendida tela che mi ha catturato lo sguardo e l’attenzione. Ignoro il monotono andirivieni di persone ciaccolanti e ficcanaso che si aggirano per la mostra, sono solo io.
I ritratti di Jeanne riflettono ogni singolo eco d'amore del pittore: era bella, con profondi occhi azzurri, specchio della sua innata timidezza e sporadica malinconia, Modì si rifiutò di dipingerli finché "non avrebbe visto dentro di essi la sua anima"; la pelle diafana e delicata, il collo lungo ed elegante: ormai divenuto un tratto distintivo dello stile di Modigliani. Anche lei era una pittrice, un'artista. Le loro anime erano destinate ad intrecciarsi intimamente.
Le pose statiche delle donne ritratte nei quadri sono in contrasto con i volti inquieti e misteriosi, con le gote rosse e fervide, con il profondo desiderio di vita che traspare da essi. Commoventi. Struggenti.
Ma non si potrebbe mai intuire la tragica fine di entrambi, l’uno di tubercolosi ed incoscienza, l’altra, incinta al nono mese, di amore e disperazione.

La tomba di Amedeo e Jeanne nel cimitero parigino di Pére Lachaise.
 L'epitaffio inciso sulla lapide recita "Compagna devota sino all'estremo sacrificio".
Non è uno sporadico episodio, ma quasi un luogo comune, quello in cui la morte unisce indissolubilmente; per Jeanne sembra l’unica via di fuga dalla terribile realtà della perdita. (Non so voi ma qui un rimando alla letteratura greca e latina ci calza a pennello! Al binomio indissolubile amore\morte che fin dall’antichità ha stroncato le esistenze di giovani amanti ed eroine, come la celebre Didone per il suo amato Enea.)
Ora riposano insieme, tutti e tre (anche il bambino), emblema di un amore che supera ogni vincolo sociale, morale ed esteriore, puro nella propria desolante solitudine, destinato a vita breve, come un meraviglioso fiore appena sbocciato. Presto appassirà, ma vivere anche solo un attimo di amore puro e folle, ripaga un’intera lunga vita senza averlo mai assaporato. 
Concludo riportando una splendida frase pronunciata da Jeanne a Pablo Picasso, nel film “I colori dell’anima – Modigliani” dopo la morte di Amedeo, prima di suicidarsi:

“Lo sai come mi sento? Pablo. Mi sento… mi sento niente. Ho un bambino nella pancia, un altro cuore che batte. Un’altra anima che soffre. E io sono vuota, come il tuo bicchiere.
Ti ricordi Pablo, quel giorno che sono venuta da te e mi hai fatto il ritratto? Quella sera tu volevi rendermi immortale, non so se ci riuscirai però sappi, che solamente Modigliani ha saputo ritrarre la mia anima, come nessun altro ha saputo ritrarla. Appartiene a lui.”





"lo vidi danzare una volta vicino alla statua di Balzac…così bello il suo viso, così aggraziate le sue braccia, mentre ondeggiava era come se sorridesse, lui era tutto quello che io fui una volta. e così rubai quel momento e lo tenni rinchiuso nella mia mente perchè stesse lì a consolarmi nei giorni della mia fine…"
(August Renoir)


  
Dafne Berdini

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