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lunedì 7 ottobre 2013

Rush

Un’antica rivalità radicata nella convinzione di poter battere l’altro. È questo lo slancio dal quale parte il film di Ron Howard, Rush. Rivalità, in questo caso, sportiva. Niki Lauda (Daniel Brühl) e James Hunt (Chris Hemsworth), piloti di macchine da corsa, sono opposti nelle scelte di vita ma non nel talento. Un talento che li ha resi leggenda. La trama è quasi uno stereotipo: due abili atleti che si contendono il primo posto nel podio, uno dedito all’alcool, donne e divertimento, l’altro meticoloso, serio e competitivo. Destinati a scontrarsi ma anche a confrontarsi. Non è assurdo pensare che questa sia una reale testimonianza? Vita vera? Una linea sottile che però delimita il confine tra verità e menzogna, tra realtà e finzione. Allora gli eroi esistono, si pensa guardando il film, sotto molteplici aspetti. Non più con elmo, spada e scudo come ai tempi dei Greci, ma a bordo di una Ferrari nuova fiammante. Sono eroi perché guardano in faccia la morte, la sfiorano, la sbeffeggiano, per poi evitarla. "…E' per la nostra vicinanza alla morte, perchè più sei vicino alla morte e più ti senti vivo e più sei vivo. E loro questo lo vedono, lo sentono..." Dice Hunt ad un certo punto. Questo gioco pericoloso li rende quasi disumani ai nostri occhi. L’idea che qualcuno riesca a giocare con la propria vita inebriandosi del pericolo è eccitante. Perfino l’introverso Lauda accetta un 20% di probabilità di morte, ogni volta che infila il casco e accende il motore. Certo, oggi le leggi sono cambiate, non si può più sfrecciare a quella velocità su un suolo bagnato o circondati dal pericolo. Ma prima si poteva eccome. Appena il semaforo diventava verde partiva la carneficina, di uomini martiri coraggiosi e folli.


Il film mette in tavola, oltre alle corse, alla velocità adrenalinica e agli abili attori, anche una certa dose di saggezza. Qualche frase buttata qua e là porta a riflettere: Un uomo astuto impara dal suo nemico più di quanto l’uomo stolto faccia dal suo migliore amico. Questo dice Lauda ad Hunt alla fine del film. Lo esorta a non sprecare il suo talento ormai decretato dalla vittoria mondiale. Ma a nulla valgono gli ammonimenti. Hunt ha voluto solo dimostrare, a se stesso e agli altri, di potercela fare. Mentre Lauda, instancabile, continuerà a correre, a sfidare la morte, ancora e ancora. Quindi sotto il velo di insulti e scaramucce, i due piloti si rispettano enormemente. I momenti migliori del film sono proprio gli attimi di umanità che emergono da due uomini così diversi, eppure così uguali; uno sguardo, un cenno di solidarietà, mostrano a tutti noi esempi di amicizia e lealtà, quasi commovente. Forse il regista poteva approfondire di più questo rapporto, o forse quei momenti di rispetto appena accennati, dicono già tutto. Anche l’amore emerge in un finale antieroico ma proprio per questo, eccezionale. Il ritiro dalla gara per rispetto di sua moglie. Lauda si dimostra il vero punto forte della narrazione.



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