Ritorna l'attrazione di Allen nei confronti dell'aspetto magico e latente del mondo (incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, scoop).Tra giochi di prestigio orientaleggianti ed immancabili interrogativi esistenziali, è sotto le vesti di Wei Ling Soo che si cela un celebre mago inglese (Colin Firth). Viene convinto a smascherare la falsità di una presunta medium (Emma Stone), una “visionaria e una visione”. Questa ingenua e sognante ragazza dai languidi occhi azzurri e dalle vesti raffinate,finirà quasi sbadatamente a far confrontare Stanley Crawford con il proprio spocchioso ego, cinico e razionale, mettendolo di fronte ad una scelta: felicità-illusione o infelicità-realtà.
C'è la crisi di un uomo, portavoce a suo modo di tutta l’umanità, alla ricerca di una verità in cui credere, celata nelle molteplici sfumature dell’esistenza, e testardamente convinto che “Dio è morto”(Nietzsche). C’è la distinzione e insieme la confusione tra sacro e profano, magico ed occulto, verità ed illusione. Ma tra tanti tormenti e dubbi, la morale è che (forse banalmente) solo l’amore, non quello razionale e calcolato, ma quello dettato dal cuore, può fornirci il nirvana, placando finalmente l’eterno botta e risposta, confronto-scontro tra gli uomini.
Sono quindi tanti i temi sfiorati con delicatezza dall'impeccabile sceneggiatura. Sullo sfondo di nuovo una meta europea: stavolta è protagonista una soave Francia anni '20 (che ritorna dopo Midnight in Paris), gremita di viste mozzafiato, di gite in Provenza e sgargianti lillà. Tra le immancabili sigarette, un ukulele strimpellato e lusso a go go, i protagonisti si barcamenano in uno scambio di battute quasi teatrale, fino a concludere che non esistono verità univoche, che a volte l’apparenza inganna e che "amor omnia vincit".
Allen stupisce con questo abbaglio di romanticismo (Sophie e Stanley si stuzzicano continuamente dietro all'apparente disprezzo, e poi c'è la pomposa dichiarazione d'amore finale). Senz'altro un'eccezione rispetto alle scorse, amare opere. Colpo di scena per chi ormai si era abituato alle nevrosi psichiche e al cupo pessimismo degli ultimi anni(Match Point, Blue Jasmine, Basta che funzioni).
C'è la crisi di un uomo, portavoce a suo modo di tutta l’umanità, alla ricerca di una verità in cui credere, celata nelle molteplici sfumature dell’esistenza, e testardamente convinto che “Dio è morto”(Nietzsche). C’è la distinzione e insieme la confusione tra sacro e profano, magico ed occulto, verità ed illusione. Ma tra tanti tormenti e dubbi, la morale è che (forse banalmente) solo l’amore, non quello razionale e calcolato, ma quello dettato dal cuore, può fornirci il nirvana, placando finalmente l’eterno botta e risposta, confronto-scontro tra gli uomini.
Sono quindi tanti i temi sfiorati con delicatezza dall'impeccabile sceneggiatura. Sullo sfondo di nuovo una meta europea: stavolta è protagonista una soave Francia anni '20 (che ritorna dopo Midnight in Paris), gremita di viste mozzafiato, di gite in Provenza e sgargianti lillà. Tra le immancabili sigarette, un ukulele strimpellato e lusso a go go, i protagonisti si barcamenano in uno scambio di battute quasi teatrale, fino a concludere che non esistono verità univoche, che a volte l’apparenza inganna e che "amor omnia vincit".
Allen stupisce con questo abbaglio di romanticismo (Sophie e Stanley si stuzzicano continuamente dietro all'apparente disprezzo, e poi c'è la pomposa dichiarazione d'amore finale). Senz'altro un'eccezione rispetto alle scorse, amare opere. Colpo di scena per chi ormai si era abituato alle nevrosi psichiche e al cupo pessimismo degli ultimi anni(Match Point, Blue Jasmine, Basta che funzioni).
Il regista costruisce ancora una volta un protagonista sui generis, fatto portavoce della sua poetica.
I caratteri alleniani sono autentici, indifesi e nevrastenici, deliranti, filosofeggianti, accattivanti; e Colin Firth ci ammalia in quest’inedita interpretazione di uno scettico mago conservatore, affiancandosi allo scapestrato nichilista Boris di "Basta che funzioni" e alla folle e squilibrata Jasmine ("Blue Jasmine").
Quando infine Sophie, dopo essere stata smascherata, chiama in causa Nietzsche (“ci servono le illusioni per vivere – eri molto più felice quando hai fatto entrare le menzogne nella tua vita”) conclude che è meglio illudere noi stessi, se vogliamo continuare a vivere. Che forse abbia ragione?
Quando infine Sophie, dopo essere stata smascherata, chiama in causa Nietzsche (“ci servono le illusioni per vivere – eri molto più felice quando hai fatto entrare le menzogne nella tua vita”) conclude che è meglio illudere noi stessi, se vogliamo continuare a vivere. Che forse abbia ragione?
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