Una passione smodata per la celebrità. Un ossessivo bisogno di possedere, vestiti
su vestiti, cose su cose, fino a far scoppiare l’armadio, fino a sommergere
l’ego e la casa di meraviglie griffate. Rubarle e goderne. Postarlo su facebook
e infischiarsene. È questo l’episodio, o meglio il luogo comune, che Sofia
Coppola ha voluto immortalare nel suo ennesimo film a tema fama, soldi,
moda (ne è esempio il precedente Somewhere).
Questo
inquietante culto per le star, che le trasforma in oggetti del desiderio di
milioni di giovani, è ormai la nuova forma di divismo del nostro secolo.
L’interesse è tutto per il gossip, giornali scandalistici, smartphone e social network, news da Hollywood o
vita privata sbattuta in copertina, di questa gente di spettacolo che vive
sotto i riflettori e in ville da sogno. Gente non tanto diversa da noi ma in
grado anche e soprattutto di permettersi un guardaroba inverosimile a budget
illimitato. È questo che affascina la banda di sette adolescenti di LA,
che tra il 2008 e il 2009 ha svaligiato le ville dei cosiddetti VIP.
Soprannominati il Bling Ring, hanno arraffato oggetti per un bottino
totale superiore a tre milioni di dollari. Non tanto per il culto della
Lindsay, Paris, Megan, Rachel, Orlando della situazione, quanto per il gusto di
potersi permettere e indossare i loro vestiti e gioielli costosi. E
questo dice e mostra tutto. Sotto le varie Birkin, Prada, Vuitton o
qualsivoglia griffe, si nasconde un grande vuoto esistenziale, una solitudine che
fa quasi pena, e che nel film si traduce in dialoghi, futile mercanzia e
situazioni comiche, ai limiti dell’assurdo e del ridicolo. La macchina da presa non scava a
fondo, la Coppola si limita a grattare la superficie di un baratro incolmabile, affacciato su questo vacuo squarcio di esistenze. Giudice silenzioso, deus ex machina,
documenta lo sbando e l’arroganza di questi scapestrati monelli. Un tema che la
regista ha precisato di sottolineare è proprio l’assenza di intimità, sia nelle
riprese, sia tra i ragazzi stessi. Il loro rapporto è superficiale, una facciata favolosa come
ciò che indossano. Forse solo Marc (Israel Broussard) si distingue per l’iniziale timida ingenuità e il bisogno disperato di integrarsi, anche a costo di compromettere la propria integrità morale. Svetta ovviamente Emma
Watson, la stellina di Harry Potter finalmente svestita, letteralmente,
dei panni di Hermione. La sua interpretazione non delude, ma nemmeno
entusiasma, forse per il calibro trash e di poco spessore del suo personaggio, che le ha lasciato un campo ristretto di interpretazione. (Si era invece fatta valere nel ruolo di Sam in Noi siamo infinito).
Insomma
un film piacevole, divertente ed ironico, scandito a ritmo di hip hop con colonna sonora tutta americana. Un cast giovane e frizzante. Un
guardaroba glamour e colorato, sogno proibito di ogni donna (che
rimanda inevitabilmente alla precedente, eccentrica Marie Antoinette). Nonchè pellicola di apertura al festival di Cannes, Bling Ring è promosso, a parte forse
quel retrogusto amaro che lascia, dettato da un giudizio morale inespresso, ma implicito nel film.
Niente che un colpo di lip-gloss o un paio di Loboutin non possano nascondere!
Dafne Berdini
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