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lunedì 29 dicembre 2014

Gone Girl - di David Fincher (Rosamund Pike, Ben Affleck)



Difficile incasellare Gone Girl all'interno di un genere circoscritto, o di un'unica definizione. Il nuovo film di David Fincher toglie il fiato, per la maestrale regia (alla quale siamo ormai abituati), per la finezza descrittiva, per la schietta sceneggiatura (ispirata e fedelissima al best seller di Gillian Flynn).

Il quid che rende Gone Girl il miglior film dell'anno e che lo fa deragliare dai binari del classico thriller, è essenzialmente la varietà di tematiche: la sostanza grezza da cui si dirama lo sceneggiato da Oscar è la sparizione della celebre e bellissima “Amazing” Amy Dunne (un’incredibile Rosamund Pike, nella sua più intensa interpretazione). Su questa scia di mistero si trova invischiato il marito Nick (Ben Affleck), all'apparenza quasi sollevato dall'improvvisa scomparsa… Siamo davanti ad un problema di natura sociologica, lo sfaldarsi di matrimonio con un’incipit da favola. Una vita coniugale racchiusa in un guscio di perfezione, ma che da cinque anni a questa parte si è irrimediabilmente deteriorata, distante da quel romantico primo bacio avvolto da una metafisica nuvola di zucchero. All’apparenza un luogo comune? Così sembrerebbe se non fosse per la straordinaria caratterizzazione del personaggio di Amy, una delle figure più oscure e affascinanti che la storia del cinema contemporaneo americano possa vantare. Con effettivi rimandi alla biondissima hitchockiana Madeleine, maestra dell’inganno in “La donna che visse due volte”, Amy affascina prima e disgusta poi lo spettatore, letteralmente spiazzandolo. La narrazione è un'altalena di punti di vista che ci costringono a prendere le parti di Amy o Nick.


La seconda parte
 del film si impelaga in un perpetuo flusso di agghiaccianti colpi di scena, intrisi di una suspense all'altezza del cinema classico. Cosa racchiude la testa di quell'algida bionda? La sua è solo una splendida facciata, nasconde qualcosa? È questa la domanda di suo marito (e nostra), nella sequenza d'apertura del film. Minuto dopo minuto i continui dubbi trovano di che cibarsi, perchè Fincher fa  corrispondere ad ogni causa un logico effetto,disseminando la pista di sordide prove e di indizi accattivanti(come farà anche la fantastica Amy, con la scusa di una caccia al tesoro per il quinto anniversario), sbrogliando poco alla volta la matassa dell'intreccio.

Lo spettatore resta abbagliato fin da subito dagli invadenti flash della stampa e televisione spazzatura, immancabili ancelle della cronaca nera.



Al giorno d'oggi si è costretti a fare i conti con la società post social - network, con l'irruzione insistente e fastidiosa del mondo dei media nel nostro privato e nelle nostre vite. È uno sciacallaggio mediatico spietato quello che il film vuole additare. Il nostro Ben Affleck è vittima sacrificale, un martire da immolare in nome del buon senso, razionale lucidità agli antipodi della follia psicotica della moglie (eletta vincitrice dall'opinione pubblica).

La drammaticità di questi temi viene sgrassata da un gradevole humor di fondo. I co-protagonisti  smorzano l'acidità (l'esilarante sorella di Nick Margot, o l'estenuante e patetica conduttrice televisiva), e c'è anche una brutale sequenza splatter che lascia il segno, e battute ciniche e spiazzanti:

"N: Siamo riusciti solo ad odiarci e a dominarci a vicenda, facendoci molto male. A: Si chiama matrimonio".

Ma il vero scandalo di cui si è fatto portavoce Gone Girl, che ha diviso fin da subito la critica (come in moltissimi altri film di Fincher), è di come si pone nei confronti della donna. È femminista o misogino? 

Semplice frutto di fantasia, non vuole essere un film di denuncia o una crociata per stabilire quale sia il sesso forte, si limita solo ad essere un meraviglioso prodotto cinematografico che ha per protagonista una rottura, di valori e di idee. E' la crisi della modernità, economica e morale, dei rapporti, della fedeltà,della comunicazione tra uomini. Di una società così delirante da ritenere lecita la violenza, la perfidia, l'inganno, per il proprio tornaconto personale.

Nick e Amy Dunne recitano una parte. Sono pirandelliani, maschere di loro stessi, o meglio di chi vorrebbero essere. Ma una volta messi a nudo, spogliati dall'inutile perfezione, si accorgono del vuoto, e non lo accettano.
Entrambi colpevoli, entrambi vittime. Di una passione ormai incenerita, di una disperazione post-crisi che li ha resi disoccupati e vulnerabili. Possiamo identificarci spesso e volentieri in questi due fragili esseri, e compatirli. È con un finale sorprendente di aspra, asprissima fattura, spiazzante e senza sbocchi, che si congeda quest’opera perfetta, già profumata di Golden Globes e con una nomination all' Oscar.





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